Ci troviamo io e te. Senza troppe parole. O solo senza vergogne.
Mi guardi, ti guardo. E c’è sostanza nello spazio che ci separa. Puoi starci le ore a riflettere su quell’alchimia, troverai risposta solo una volta spente le luci, tirati via gli oggetti di scena, caricata l’auto. Quel filo che lega l’esistenza dell’uomo con quella dell’attore, è fatto di tutta l’incertezza che esiste nella vita delle stesse persone. Perché siamo TUTTI vivi e veri finché non ci mostrano quello che ci manca.
Abbiamo bisogno di un display, qualcosa che ci riproduca dall’esterno, che ci mostri il fuori passando per il dentro. E sia questo un momento comico, sia pesantezza del dramma, l’attore non se ne cura, lui scompone e ricostruisce. E sa farlo toccando alcune corde che fanno suonare emozioni.
Ecco che da quel momento di teatro ne esci sempre in qualche modo sconfitto nell’anima. Perché sai che vai li per essere battuto. Consapevole che il muscolo si distrugge per ricomporsi più forte.
Eccola la necessità di tutto questo. Che sia la resa al paradosso del pupazzo che ti im-bambola, o la condizione emozionale di un Amleto combattuto fra l’essere o il non essere.
Siamo io e te, legati da un soffio clandestino, una sorta di battaglia in cui sappiamo che l’attore ne uscirà vincente, ma che domani ribalterà le sorti per farci trovare di nuovo complici. Perché tutto questo possa non finire mai.
Per farlo vincere.
Su tutto.